L'affascinante gelo dei sentimenti
Un coeur in hiver (1992)
di Claude Sautet
drammatico
Stéphane è un liutaio, ripara violini perchè ha troppo poco talento per suonarli, ma lo fa con grande accuratezza e maestria. Maxime (l'ottimo Andrè Dussolier) è suo socio, ma il protagonista lo precisa subito, non è suo amico: tra i due c'è un rapporto cordiale e talvolta anche intimo, i due si completano con i loro caratteri opposti, eppure per Stéphane non c'è amicizia. Anche perchè i suoi rapporti sono quasi tutti glaciali e impassibili come il suo sguardo (prestatogli da un giovanissimo, eccezionale Daniel Auteuil che riesce ad affascinare con la sua sobria antipatia). Almeno fino a quando conosce la bella violinista Camille, compagna del suo collega con la quale è in procinto di andare a vivere assieme. Le cose iniziano a non quadrare più, l'intimità tra i due si fa sempre più ambigua in un crescendo discreto che origina un triangolo di rapporti dalle sfaccettature insolite: il fulcro è infatti quello tra i due uomini, che però rimane purtroppo con troppi interrogativi aperti. Purtroppo perchè è l'unico tassello scomposto di un mosaico dove gli altri elementi si incastrano alla perfezione, dalle straordinarie prestazioni degli attori, ai dialoghi minimalisti eppure realisti che ci coinvolgono nelle storie dei personaggi e nei loro rapporti delineati con raffnata sensibilità, alternando la tenerezza dell'innamoramnento alla ruvidità del rancore. L'impervia musica di Ravel accompagna le immagini, degna colonna sonora per un film elegante nella confezione e aspro nei contenuti che, nel bene e nel male, lascia poco spazio al sentimentalismo.
martedì 30 marzo 2010
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(sostituisce il precedente)
RispondiEliminaUno dei film più belli che abbia mai visto. Il finale lascia tragicamente aperta la domanda: Stéphane ha rinunciato a vivere l'amore oppure si è semplicemente divertito con un gioco cattivo manifestando il più crudele e bieco egoismo? E’ una persona fuori dal comune o semplicemente una persona meschina?
Il monologo di Camille (che è bellissima, fuori e dentro) è fantastico. Fine, intenso, crudele. Meraviglioso.
è uno dei pochi film (forse l’unico, in realtà) di cui non riesco a parlare, tanto è stato il senso di bellezza e di angoscia che mi ha preso quando l’ho visto. Qualsiasi parola sarebbe di troppo rispetto alla crudele (e vera) descrizione dell’amore che c’è in questo capolavoro.
RispondiEliminaLa chiave di tutto (anche della domanda lasciata "aperta" che però non definirei tragica) risiede nel comportamento di Stèphane. Di fondamentale importanza, essendo questo un film dove l'aspetto musicale è preponderante (non per niente viene suonato il trio per viola, violino e violoncello di Ravel), è il parallelismo suggerito tra il comportamento di Stèphane con gli altri personaggi e il suo rapporto con il violino. Viene infatti esplicitamente detto che lui smise di suonare ritenendosi dotato di poco talento. Sentendosi dunque "inadeguato", preferisce costruire quell'oggetto invece che suonarlo. E' anch'esso un modo per non lasciare perdere una passione verso quale è inevitabilmente attratto (la musica), senza però mettersi del tutto in gioco, mettendo il suo impegno nel gettare le basi per costruire qualcosa che poi altri suoneranno. Così probabilmente con Camille: il suo non è volutamente un gioco, c'è un'attrazione cui però è associata la convinzione di non essere adeguato, di non essere in grado di sostenere il peso della sua bellezza e della sua umanità. Come reazione si ha che Stèphane non si sottrae al gioco di seduzione, ma poi lascia cadere tutto nel vuoto.
RispondiEliminaSotto questo aspetto non mi sembra però che si possa dire che il film descriva la crudeltà dell'amore, non è quello il punto; se mai è un mezzo per descrivere una certa sfaccettatura dell'animo umano.
Beh, diciamo una sfaccettatura "crudele" dell'animo umano (di qui la "tragicità" della domanda, che resta sospesa in tutta la sua pesantezza). La sofferenza di Camille, sedotta e abbandonata da chi forse non merita tanta bellezza, è talmente intensa che quasi ci pare di essere lì mentre si prepara ad auto-umiliarsi, con grande dignità, al tavolo di Stèphane (e come non dargli del pazzo?).
RispondiEliminaMolto interessante il parallelismo che citi rispetto al violino. Mi viene in mente, sempre in scia, la scena a tavola in cui si rifiuta di prendere parte alla discussione, apparentemente perchè si reputa superiore alle umane opinioni (ma due domande, anche incalzato da Camille, lo spettatore se le fa).
Del resto anche il rapporto con Maxime sfuma a poco a poco senza grandi clamori.
E la domanda ricorre: un antipatico inetto (con tanto di ego smisurato) o un personaggio affascinante e stravagante che nel suo non sentirsi all'altezza rompe qualsiasi schema arrivando quasi a conquistarsi il favore dello spettatore? Nessuna risposta. E, paradossalmente, questo è il bello.
D'altra parte l'incompiutezza è un'altra chiave di lettura del film: tutto resta sempre sospeso, a metà, birra, caffè, pranzi non vengono mai finiti.
RispondiEliminaSe la soluzione del tutto fosse un meschino gioco di un delirante, ci troveremmo al cospetto di una storia senza senso basata su di un personaggio grottesco e irreale sul quale sarebbe impossibile costruire alcun accostamento allegorico
"La sofferenza di Camille, sedotta e abbandonata da chi forse non merita tanta bellezza". Un attimo. Lei sta con Maxime quando si innamora di Stéphane. E' un particolare che un po' mi fa dubitare del fatto che lei abbia tutta questa "bellezza" da donare.
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